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Pubblicato: Giovedì, 23 Luglio 2015 12:30
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L'EDITORIALE
Il percorso impervio e accidentato della “rivoluzione copernicana” di Renzi
di Stefano Mantegazza
Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha promesso una “rivoluzione copernicana” del fisco, con 50 miliardi di tasse in meno nei prossimi tre anni.
Ha ragione da vendere, l'Italia che arranca sulle vie della ripresa, con la disoccupazione alle stelle e la produzione ed i consumi al palo ha davvero bisogno di un salutare shock fiscale.
E’ giusto, perciò, correggere la tassazione sugli immobili, cresciuta del 170% tra il 2011 e il 2015, portandosi dietro le mostruosità tributarie dell’IMU agricola e della tassa sugli imbullonati.
E' giusto ridurre l’Irap e l’Ires sulle imprese, e ancor più giusto abbassare l’Irpef per le persone fisiche ed estendere finalmente ai pensionati il "bonus" di 80 euro.
Vorremmo, vogliamo credere che stavolta i fatti seguiranno gli annunci e che almeno questa rivoluzione fiscale non sparisca nelle sabbie mobili delle promesse elettorali.
A fare due conti, però, sorge qualche legittimo dubbio.
Innanzitutto riguardo alla compatibilità con i vincoli e con gli impegni europei del Paese.
Infatti, nel 2016 non solo entrerà in vigore il "fiscal compact", che impone di ridurre del 20% l'anno la parte di debito pubblico eccedente il 60% del PIL - pari a circa 900 o 1000 miliardi - ma il disavanzo corrente non dovrà superare l'1,8% del medesimo PIL.
Sempre dall'anno venturo, quando il disavanzo dovrà essere abbassato fino allo 0,8%, le "clausole di salvaguardia" previste dalla vigente legge di stabilità, se non tempestivamente disinnescate, comporteranno aumenti automatici dell'IVA e delle accise per quasi 17 miliardi nel 2016, per più di 25 nel 2017 e per oltre 28 nel 2018.
Quindi, nel triennio a venire il Governo dovrebbe, almeno in teoria, aggiustare i conti pubblici dei parecchi miliardi necessari a rispettare i parametri europei di Bilancio, ad evitare che le tasse, in luogo di diminuire, aumentino automaticamente e, nello stesso tempo, trovare le coperture finanziarie sufficienti ad alleggerimenti fiscali per altri 50 miliardi.
Tutto, per ovvie ragioni di coerenza, in primo luogo tagliando le spese, cosa più facile da annunciare, che da realizzare, viste le resistenze politico-burocratiche che sono costate il posto a Cottarelli e minacciano di sfilacciare anche la più modesta "spending review" da 10 miliardi attualmente in cantiere.
Però, se non si riduce veramente ed energicamente la spesa pubblica, forse fino a ridefinire il perimetro dello Stato, se non si azzerano sprechi ed inefficienze, se non si interviene decisamente sull'economia sommersa, sul lavoro nero e sull'evasione fiscale la "rivoluzione copernicana" di Renzi rischia di trasformarsi in un salto nel vuoto, in fondo al quale potrebbe attenderci qualcosa di simile alla Grecia.
Certo, 50 miliardi di imposte in meno darebbero una bella mano d'aiuto a spingere la crescita oltre le attuali frazioni di punto, a rianimare produzione e consumi, a creare qualche vero posto di lavoro in più.
Ma, per scongiurare il rischio che la toppa sia peggiore del buco, bisogna trovare coperture serie, chiare e trasparenti.
Leggo sui giornali che il Governo pensa di trovarle nella stima, in realtà nella speranza di ritmi più sostenuti di crescita dell'economia e, di conseguenza, delle "normali" entrate tributarie, sia e soprattutto rinviando ancora il pareggio strutturale di Bilancio, per sfuggire ai vincoli del "fiscal compact", e tenendo il disavanzo sotto il canonico 3%, ma oltre l'1,8% e lo 0,8% previsti, rispettivamente, per l'anno prossimo e per quello ancora successivo.
Può essere una buona idea, ma deve essere autorizzata dall'UE, cosa ragionevole, non impossibile, ma nemmeno scontata, tenendo conto dell'ancora non del tutto risolta crisi del debito greco e delle difficoltà che tuttora complicano la vita dell'eurozona.
L'Europa, infatti, ha già concesso l'anno scorso all'Italia qualche decimale di flessibilità sull'aggiustamento dei conti, per un "controvalore finanziario" di circa 7 miliardi, adesso l'Italia indebitata per un terzo più del suo PIL, in cui il debito sale, invece di scendere, e costa 70-80 miliardi l'anno di interessi ne chiede ben di più, per un ordine di grandezza più volte multiplo.
Sembra che Renzi pensi di scambiare la necessaria autorizzazione europea con la rapida approvazione delle riforme in discussione al parlamento.
Anche questa può essere una buona idea, a condizione che il Governo riesca a stemperare le turbolenze che attraversano e rimescolano gli schieramenti parlamentari, non escluso quello di maggioranza, e logorano la fiducia dei cittadini nei partiti.
Si può fare, è necessario farlo, non sarà semplice venirne a capo, bisogna riuscirci nel poco tempo che manca all'approvazione della legge di stabilità.
Però, con i chiari di luna che splendono nel cielo della politica, la pretesa di fare le riforme snobbando il consenso sociale e mettendo le dita negli occhi al sindacato rende ancora più impervio un percorso già di suo accidentato.