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Pubblicato: Sabato, 09 Maggio 2015 21:40
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L'EDITORIALE
Quattro proposte per far ripartire il paese
di Stefano Mantegazza
L’Istat spiega che l’ultimo triennio di recessione si è chiuso ma la crescita resta debole, guidata dalla domanda estera più che dai consensi interni. Una crescita che arriva dopo otto anni di recessione che, ovunque, hanno distrutto ricchezza e posti di lavoro, speranze di vita e opportunità di investimento. Eppure esistono ovunque, pronte all'uso, grandi quantità di risorse fondamentali per lo sviluppo: lavoro qualificato, abbondante risparmio, materie prime tuttora a buon mercato.
L'ONU calcola in 200 milioni i disoccupati nel mondo e, se nulla cambierà, si arriverà presto a 250 mentre la disoccupazione viaggia verso il 12% in Europa mentre in Italia ha già raggiunto il 13%. Il petrolio, malgrado i recenti rincari, continua a costare la metà di qualche anno fa, tutte le Borse Merci registrano l'abbattimento dei prezzi internazionali delle più importanti materie prime, tra l'11 e il 20% quelli dei prodotti agricoli, attorno al 18% quelli dei metalli. Di sicuro non manca il capitale da investire; secondo l'OCSE a inizio millennio i suoi paesi membri investivano ogni anno 270 miliardi $ in più di quanto riuscissero a risparmiare; l'anno scorso, invece, il mondo e l'Europa hanno risparmiato (e non investito), rispettivamente, 157 e 356 miliardi $.
Se il risparmio non diventa investimento, se il sistema della trasformazione industriale non acquista materie prime, per quanto a buon mercato siano, la recessione prima o poi tornerà a dilagare e la crescita ristagnerà ovunque, in bilico sull'orlo della recessione prima, della depressione poi. Siamo di fatto ancora a rischio. FMI e ISTAT prevedono che l'economia, stretta tra il declino dei Paesi più sviluppati e il rallentamento di quelli emergenti, crescerà negli anni a venire appena del 3,5% in media planetaria, di circa la metà in Europa e della metà della metà in Italia. La crescita prevista per il nostro paese non sarà sufficiente a scacciare definitivamente lo spettro della recessione. E quando lo sviluppo non cresce a sufficienza, le diseguaglianze aumentano al punto che oltre il 29% degli italiani è già scivolato al di sotto della soglia dell'esclusione sociale.
Infine, e non per caso, al crescere di disoccupazione e diseguaglianze, i consumatori sempre più impoveriti stentano ad acquistare anche il necessario e, per procurarsi l'indispensabile, sono sempre più spesso costretti a indebitarsi. Così come sempre più si indebitano, sia le imprese che non riescono a vendere quel che producono, sia gli Stati che, per quanto facciano correre le tasse, sono sempre più in ritardo sulle spese.
Come intervenire affinché il cerchio del declino economico, sociale, della stessa civile convivenza civile, non torni a chiudersi su sé stesso e ad autoalimentarsi, in particolare in Italia? Questo movimento circolare, distruttivo, può e deve essere spezzato con una strategia in quattro mosse.
- Il governo deve accompagnare il QE praticato dalla Bce con una politica fiscale espansiva. Il taglio delle tasse va compensato con un analogo taglio della spesa pubblica improduttiva e con una seria politica di contrasto alla evasione fiscale.
- Va varato un vasto piano di investimenti in infrastrutture pubbliche. Un aumento dell’1% degli investimenti pubblici in rapporto al Pil si traduce, in media, in una maggiore crescita dello 0,4% nel primo anno per arrivare al 1,5% nel quarto. Meglio sarebbe se il piano di investimenti fosse europeo. Anche grazie all’azione della Bce, i tassi di interesse a cui i governi possono finanziarsi sul mercato sono estremamente bassi. Progetti di realizzazione di infrastrutture profittevoli, adeguatamente selezionati e attentamente monitorati – quali quelli che vengono considerati nel piano Junker – potrebbero essere dunque realizzati, in modo coordinato a livello europeo, con investimenti pubblici finanziati con debito. Dato il basso costo di finanziamento, essi si ripagherebbero nel lungo periodo e, fornirebbero una spinta consistente alla ripresa economica, con effetti favorevoli anche per l’abbattimento del rapporto Debito/Pil.
- Inoltre, è necessario restituire potere d’acquisto ai lavoratori, col rinnovo dei contratti collettivi scaduti o in scadenza e con aumenti delle retribuzioni in grado di "anticipare" la crescita della produzione e dell'economia nazionale.
- Il governo dovrebbe, infine, smetterla di "far cassa" con continue e spesso incostituzionali manomissioni della previdenza pubblica e integrativa; i consumi dei pensionati vanno sostenuti e non mortificati da meschine furbizie di chi non vuole restituire loro quel che la Corte Costituzionale ha sancito debba essere loro restituito.
Bankitalia in questi giorni ha ricordato al Governo che lo 0,6% della crescita attesa per quest'anno e l'1,4% stimato per l'anno prossimo sono praticamente dovuti per intero ai "benefici effetti" del Q. E. di Draghi, che ha ridotto la spesa per interessi sul debito pubblico, ed al deprezzamento dell'euro, che traina le nostre esportazioni.
Non possiamo e non dobbiamo accontentarci della crescita indotta dall'esterno, perché i prezzi internazionali, a cominciare da quello del petrolio, stanno crescendo, perché il dollaro non si rivaluterà all'infinito, perché il Q. E. tra un anno finirà.
Dobbiamo e possiamo darci da fare e fare le scelte giuste, il Governo deve finalmente prendere atto degli esiti fallimentari delle politiche economiche fin qui seguite, deve smetterla di somministrare all'economia dosi tossiche di spesa pubblica e di tasse e agli italiani l'illusione di “tweet” falsamente rassicuranti.
Le risorse per lo sviluppo ci sono, è stato un errore lasciarle inutilizzate, sarebbe una colpa continuare a sprecarle.